Oggi, 2 aprile è una giornata speciale. È la giornata mondiale dell’Autismo. Qualcuno ne parlerà per poi tornare alle proprie faccende affaccendato. Per qualcun altro è un impegno quotidiano. Per me è un tema delle mie ricerche, come esperto del comportamento umano. Studio i bambini autistici per comprendere come apprendono ed elaboro ipotesi di programmi di intervento, che verifico alla luce della prassi sperimentale, con la medesima rigorosa metodologia che ha portato l’uomo sulla Luna, che ci ha dato gli antibiotici e che ci ha chiarito negli anni che possiamo disegnare interventi efficaci: è il metodo scientifico.
Al momento, l’unico metodo indicato anche dalle linee guida dell’Istituto Superiore della Sanità Italiano per il trattamento dei disturbi dello spettro autistico, con dimostrata efficacia, è noto come Analisi Comportamentale Applicata, o col suo nome originale anglosassone di Applied Behavior Analysis (o ABA).
L’ABA non è una cura, è una Scienza applicata. Sarebbe come dire che la Medicina è una cura. Il farmaco cura, la Medicina è la Scienza applicata che si avvale delle conoscenze di altre Scienze, tra cui la farmacologia, per curare le malattie. L’ABA studia metodi per favorire l’adattamento dell’uomo in varie situazioni, per facilitare l’apprendimento di abilità complesse. Ecco perché dà risultati anche nell’autismo. Attraverso i suoi metodi è possibile sviluppare la cognizione, il linguaggio e la comunicazione, la prospettiva del Sè, le abilità scolastiche, imparare a leggere, scrivere e fare calcoli. E suggerisce strategie efficaci anche per la riduzione dei comportamenti problema e le stereotipie.
I trattamenti hanno alcuni limiti di efficacia, se non iniziano precocemente e non sono intensivi. Inoltre, sono fortemente dipendenti dalla preparazione dell’operatore e di chi elabora e personalizza i programmi. Trattandosi di uno spettro di disturbi, ogni bambino è differente dall’altro, ogni bambino deve avere un programma personalizzato. La personalizzazione non è nel metodo - il metodo è unico e articolato - ma nei contenuti dei programmi, che variano in rapporto alle abilità e alle tappe dello sviluppo del bambino, e al contesto in cui si applica (scuola, centro e/o famiglia).
Ci sono ostacoli alla diffusione. Il primo viene dalla formazione, che nel nostro Paese è assente. L’ABA non è insegnata in alcun corso di laurea. Il secondo ostacolo è il tempo/uomo. Basandosi di necessità su un rapporto uno a uno, assorbe risorse umane e ne incrementa perciò i costi sociali ed economici.
È proprio per cercare di superare questi ostacoli che può essere utilizzata la moderna tecnologia. Ci sono due modi per impiegarla: in sostituzione o per stimolare lo sviluppo di abilità assenti o deficitarie.
In quest’ultima direzione
IESCUM ha intrapreso una serie di ricerche in collaborazione col prof. Baresi del Politecnico di Milano, Matteo Vignoli del Dipartimento di Scienze e Metodi dell’Ingegneria dell’Università di Modena e Reggio Emilia e Olga Beltramello del CERN.
L’intento è esplorare le nuove tecnologie per capire come è possibile utilizzarle per stimolare lo sviluppo cognitivo, il linguaggio e la comunicazione del bambino autistico. L’elettronica ed il software oggi consentono di tracciare i comportamenti in relazione agli ambienti, “leggendo” la loro congruità, favorendo la personalizzazione in rapporto ai bisogni del ragazzo. In tal modo è possibile controllare anche la coerenza del trattamento da parte di operatori e genitori.
Dall’uso della tecnologia portatile e mobile, dall’uso di sensori ambientali e telecamere, dall’integrazione con gli oggetti di tutti i giorni, dagli abiti, agli strumenti di casa, sarà possibile implementare occasioni di apprendimento per i bambini autistici, sfumando progressivamente il loro apporto, man mano che il bambino sviluppa le abilità per interagire col mondo.
È questa la scommessa che
IESCUM e un gruppo di suoi ricercatori stanno giocando per il prossimo futuro dell’ABA.