Perché tante cause? Verso una prospettiva interazionista e contestualista
Sono state avanzate molte ipotesi diverse ed eterogenee sulle possibili cause dell’autismo, ma ad oggi nessuna di esse è risultata essere esaustiva e soddisfacente. 
 
Talvolta si è trattato di ipotesi scientificamente infondate, come ad esempio la vecchia ed ampiamente smentita teoria psicogenetica di origine Bettelheimiana (1967) o la più recente e altrettanto fallace ipotesi relativa alla vaccinazione trivalente che è costata al suo principale esponente (Wakefield, 2010) la radiazione dall’albo dei medici brittannici.
 
Altri modelli eziopatogenetici hanno spostato il proprio focus di analisi sulle componenti neuropsicologiche considerate compromesse o deficitarie:  
  • Deficit nella teoria della mente (Leslie, 1986; Baron-Cohen, 1989; Perner 2001; Surian 2004)
  • Defici delle funzioni esecutive programmatorie
  • Deficit di coerenza centrale
  • Deficit e alterazione dei circuiti neurali di simulazione (“neuroni mirror”)
  • Deficit cognitivi e “mente inattiva” 
Ciascuno di questi modelli (e delle numerose varianti di ciascun modello) rivendica un certo potere esplicativo rispetto alla complessità della sindrome autistica integrando evidenze sperimentali con dati provenienti dalla clinica e dalla neuropsicologia. Ognuno di essi, tuttavia, presenta anche difficoltà e lascia non spiegati molti aspetti.
 
La tendenza generale della ricerca scientifica più recente sull’autismo è volta all’individuazione di fattori neurofisiologici e genetici, nell’intento di approdare alla formulazione di un’efficace ed unitaria spiegazione organicistica.
 
Ad ogni modo ancora oggi non vi è una teoria unificante in grado di spiegare la sindrome autistica secondo un modello lineare di causa – effetto.
 
E se il problema delle cause dell’autismo non fosse risolvibile all’interno di un modello biomedico meccanicistico di causalità lineare?
 
In altre parole, è proprio nell’etereogenità delle cause, nella molteplicità dei percorsi eziopatogenetici, delle espressioni fenotipiche, delle evoluzioni, della gravità, della sintomatologia che va considerata la sindrome autistica quale patologia complessa e multifattoriale. 
 
Sembra dunque riduzionistico (tipico di un’impostazione strettamente meccanicista) affrontare lo studio dello “spettro” autistico esclusivizzandolo alla sola analisi della dimensione organica. 
 
Un’analisi di tipo interazionista, capace di approfondire le interazioni organismo – ambiente potrebbe offrire una lettura più completa dei processi coinvolti nella genesi dell’autismo.
La sindrome autistica si configura così come una patologia complessa, dinamica e non lineare dove l’effetto di una variabile dipende dalla simultanea presenza ed interazione con altre variabili all’interno di specifiche condizioni contestuali in continuo divenire.
 
All’interno di tale visione non avrebbe più senso parlare di un effetto diretto, finale e meccanicamente determinato del tipo “se…allora” (1 causa – 1 effetto), ma piuttosto si rivelerebbe più appropriato parlare di cause multiple ed effetti transazionali o processuali: un effetto può potenziarsi in escalation o al contrario svanire a seconda della dimensione contestuale interagente (es. “Butterfly Effect”). 
 
Questa riflessione epistemologica è già avvenuta nelle madri di tutte le scienze paradigmatiche: la fisica, segnando il passaggio dalla fisica meccanicistica (analitica e lineare) alla fisica quantistica (olistica e interazionale).
 
Anche all’interno della biologia, si stà facendo strada una visione visione contestualistica, olistica e di campo che coincide con il crollo dell'assioma genetico che asserisce "un gene, una proteina" e la seguente affermazione dell’epigenetica. Da qui consegue la valorizzazione di una prospettiva contestualista all’interno della quale l'ambiente, non viene più considerato come mera influenza di tipo on/off rispetto all'informazione genetica depositata sui nostri cromosomi, ma piuttosto stabilisce con l'organismo un rapporto di dipendenza funzionale e di incessante interazione.
 
Non è un caso che si parla di predisposizione genetica: predisposizione non vuol dire predeterminazione (visione deterministica e riduzionista).
 
In conclusione, alla luce di queste argomentazioni, i meccanismi causativi considerati alla base dell’autismo non sono forse da ricercare nei nostri geni, ma piuttosto compatibilmente ad una visione contestualistica potrebbero dipendere dalla modulazione dell'azione di specifici geni in funzione degli influssi ambientali. 
 
Un’ottica contestualista interazionista potrebbe quindi rappresentare un modo efficace di rispondere alle numerose questioni rimaste aperte sulle cause dell’autismo.