Autismo: quale diagnosi e quale utilità
La diagnosi di Autismo prevede un processo molto articolato e complesso finalizzato a stabilire se il quadro comportamentale riscontrato nel bambino  esaminato soddisfa i criteri diagnostici definiti a livello scientifico - internazionale.
 
Esistono tuttavia vari livelli diagnostici che spesso si sovrappongono o intersecano e che spesso ostacolano la visione del processo da parte dei non addetti ai lavori.
 
Abbiamo una DIAGNOSI NOSOGRAFICO DESCRITTIVA dell’autismo, così come viene attualmente formulata facendo riferimento ai criteri del Manuale Diagnostico e Statistico dei Disturbi Mentali (DSM-5) redatto dall'American Psychiatric Association (APA, 2013), che individua e descrive precisi sintomi comportamentali (criteri diagnostici) e gli strumenti di valutazione più opportuni per rivelarne la presenza all’interno del repertorio dell’individuo esaminato.
 
Abbiamo una DIAGNOSI EZIOLOGICA o STRUMENTALE dell’autismo, a tutt’oggi complessa e poco conosciuta, volta alla ricerca delle cause di ordine biologico scatenanti la manifestazione sindromica. A tutt’oggi non esistono singoli e univoci marker biologici che caratterizzano l’autismo; nonostante ciò esiste una crescente mole di studi di genetica che cerca di approfondire e chiarire l’esistenza di precise cause morbose e meccanismi di azione patogenetica.
 
Abbiamo una DIAGNOSI CLINICO FUNZIONALE volta ad analizzare in modo approfondito le manifestazioni fenotipico comportamentali osservate nel corso delle interazioni organismo – ambiente. 
 
Abbiamo infine una DIAGNOSI DIFFERENZIALE legata alla presenza di criteri comportamentali “atipici” riscontrabili non solo nell’autismo, ma anche all’interno di altre differenti categorie nosografiche (per esempio, ritardo mentale, stereotipie, condotte di evitamento sociale, difficoltà linguistiche, manifestazioni ossessivo compulsive, etc.). 
 
Poiché l’autismo è una sindrome comportamentale, come ogni comportamento, va analizzato lungo una dimensione contestuale e temporale dinamica che è parte essenziale di una descrizione completa del comportamento stesso.
 
Da questo punto di vista il livello diagnostico che valorizza maggiormente i fattori contestuali intervenienti e in continuo divenire lungo la dimensione temporale (non solo quelli di natura biologica) valutando globalmente le interazioni che il bambino stabilisce con il proprio ambiente educativo (scuola) e familiare è la diagnosi di tipo funzionale.
 
La diagnosi funzionale, inoltre, definendo la “funzionalità” delle interazioni che il bambino stabilisce con il proprio ambiente di vita si rivela altresì particolarmente utile sul versante della programmazione abilitativa (trattamento). 
 
Concludendo possiamo affermare che una diagnosi funzionale precoce è sinonimo di intervento abilitativo precoce. Prima posso analizzare quali sono le interazioni organismo – ambiente che si sono venute per qualche motivo ad alterare nel corso della traiettoria evolutiva del bambino, prima posso intervenire per ristabilirle artificialmente evitando di invertire una storia di apprendimento già consolidata nel tempo. 
 
In tale senso letteratura scientifica internazionale è concorde nel sottolineare l’importanza di effettuare una diagnosi precoce già tra i 12 e i 13 mesi (Fombonne e De Giacomo, 2000) e comunque prima dei 3 anni di età (Charman et al., 1997; Cox et al., 1999; Lord, 1995; Stone et al., 1999).