AUTISMO: IN CERCA DELLE CAUSE
In letteratura si è assistito, nel corso degli anni, a un proliferare di teorie volte a identificare e spiegare le cause dell’autismo. 

Il primo a formulare ipotesi in merito al perché dell’autismo è stato Bruno Bettelheim formulando la metafora della fortezza vuota. Secondo questo autore le cause dell’autismo andavano ricercate nell’atteggiamento delle madri: troppo fredde e insensibili ai bisogni del bambino. Queste “madri frigorifero” generavano nei bambini l’idea che non avrebbero potuto influenzare il mondo circostante, costringendoli a ritirarsi in una sorta di fortezza vuota.

La teoria di Bettelheim ha dominato il panorama scientifico per lungo tempo generando, ovviamente, forti sensi di colpa e angosce nei genitori e ripercuotendosi negativamente anche sulle ipotesi di intervento proposte, poichè ci si concentrava sul rapporto madre-bambino e non sulle caratteristiche del singolo bambino.
A partire dagli anni ’80 si è assistito a un progressivo abbandono della teoria psicogenetica di Bettelheim e alla nascita di nuove teorie, fra le quali ricordiamo: la teoria della mente, la teoria della coerenza centrale, la teoria delle funzioni esecutive.

Nello specifico, la teoria della mente (Baron-cohen, 1985) ipotizza che la causa dell’autismo vada ricercata in un’incapacità di questi soggetti ad assumere la prospettiva dell’altra persona e a comprenderne emozioni e pensieri; la teoria della coerenza centrale  (Frith, 1989) ipotizza, invece, che la persona con autismo non sia in grado di elaborare in un tutto coerente le molteplici informazioni che arrivano ai propri sensi e che abbia quindi difficoltà a elaborare lo stimolo nella sua complessità; la teoria delle funzioni esecutive ipotizza l’esistenza di un deficit a livello dei lobi frontali con conseguente compromissione delle funzioni esecutive, in particolare difficoltà nella pianificazione, nella flessibilità cognitiva e nell’inibizione di risposte non appropriate.

Altri studi sono stati condotti in ambito neurobiologico e hanno evidenziato l’esistenza di deficit a livello del sistema limbico, del cervelletto, dell’ippocampo, dell’amigdala, dei lobi frontali e del cervelletto.

Grande dibattito e grande attenzione da parte dell’opinione pubblica si è scatenato sul ruolo dei vaccini. Tale dibattito è sorto nel 1998 quando la rivista Lancet ha pubblicato una ricerca di Wakefield e coll. in cui gli autori sostenevano di avere trovato dati a sostegno del fatto che il vaccino trivalente causasse l’autismo.

Il giornalista Brian Deer ha recentemente pubblicato sul British Medical Journal la storia di tale studio dimostrando come non fosse altro che una frode ed evidenziando come Wakefield avesse manipolato e falsificato i dati in suo possesso.
È importante ripercorrere le tappe di diffusione di tale teoria in quanto ancora oggi, nonostante sia stato dimostrato chiaramente che non esiste alcuna correlazione tra vaccinazione trivalente e autismo, ci sono gruppi di genitori che si dichiarano contrari a tale vaccinazione e si rifiutano di vaccinare i loro figli.

Wakefield eseguì una colonscopia su 12 bambini di cui 10 con diagnosi di autismo, e trovò  che in tutti questi bambini con autismo vi era un’infiammazione intestinale in atto. Le madri di questi bambini sostenevano che i sintomi autistici fossero insorti dopo avere effettuato il vaccino trivalente e Wakefield confermò tale idea, ipotizzando che il vaccino trivalente causasse un’infezione intestinale con conseguente comparsa dei sintomi autistici. Per questa ragione consigliò a tutti i genitori di non effettuare la vaccinazione trivalente ma di eseguire vaccinazioni singole per le singole patologie.

Questo caso ha avuto fortissime ripercussioni sull’opinione pubblica causando nel corso degli anni la costituzione di diversi gruppi di genitori “anti-vaccino” e un forte decremento del numero di bambini vaccinati (in Inghilterra passarono dal 90% al 50%). Ciò comportò un incremento significativo dei casi di morbillo provocando anche alcune vittime.

Alcuni ricercatori cercarono di replicare lo studio ma non vi riuscirono, trovarono, anzi, dati contrastanti. Fu poi un’assistente di Wakefield a dichiarare che Wakefield aveva manipolato i dati in suo possesso e chiese di ritirare il suo nome dallo studio. Lo stesso fecero altri 10 suoi collaboratori.

La rivista Lancet, che aveva pubblicato la sua ricerca, ritirò l’articolo e Wakefield venne indagato per frode sanitaria. Il processo si concluse con la sua radiazione dall’albo dei medici e la sua stessa confessione di avere effettuato una frode.

Nel corso dell'indagine emerse un altro particolare interessante, ovvero che la ricerca era stata finanziata da uno studio legale che voleva intentare causa a un’industria di vaccini. Inoltre lo stesso Wakefield aveva brevettato un sistema per effettuare i tre vaccini singolarmente, per cui il suo consiglio di effettuare vaccini singoli non era del tutto disinteressato.
Una seria conseguenza della disinformazione causata da Wakefield è l'aver dato vita a tutta una serie di gruppi di genitori che tutt’ora si dichiarano contrari al vaccino, nonostante le indagini abbiano chiaramente dimostrato che Wakefield ha tratto conclusioni false manipolando i dati in suo possesso e che questi 10 bambini manifestavano sintomi autistici ben prima di effettuare la vaccinazione trivalente.

Tornando alla ricerca delle cause dell'autismo, Recenti studi si sono concentrati sul ruolo dei neuroni specchio. Gallese, Rizzolatti e coll. fra gli anni ‘80 e ’90 hanno scoperto l’esistenza dei neuroni specchio nelle scimmie. Tali neuroni si attivano nel momento in cui l’individuo esegue un’azione oppure vede qualcun altro eseguire un’azione consentendo la comprensione dell’azione ovvero la “capacità di riconoscere che un individuo sta eseguendo un’azione, di differenziare quest’azione da un’altra analoga ad essa, e di usare questa informazione per agire in modo appropriato” (Gallese, 1996, p.606). Nel 1995 Fogassi, Gallese e coll., ne dimostrarono la presenza anche nell’uomo. Questi neuroni sono coinvolti non solo nel momento in cui un individuo osserva un’azione messa in atto da un’altra persona ma anche quando osserva l’espressione di un’emozione.

Alcuni rilievi critici a tali affermazioni arrivano da un ricercatore (Hickok, 2008) che in un articolo pubblicato sul Journal of Cognitive Neuroscience aveva spiegato in modo dettagliato quelli che lui chiama “gli otto problemi della Teoria dei neuroni specchio”. Nello specifico, questo ricercatore sosteneva che non fosse innanzitutto chiaro che cosa gli autori intendessero con il termine “comprensione dell’azione” ma soprattutto che non fosse possibile generalizzare i risultati emersi dagli studi con le scimmie agli esseri umani, e che non ci fossero evidenze scientifiche forti al punto tale da consentire di applicare quanto trovato nelle scimmie ai processi cognitivi di ordine superiore degli esseri umani.

Il coinvolgimento dei neuroni specchio è stato ipotizzato come una delle possibili cause-caratteristiche dei soggetti con autismo, attribuendo a un deficit nel funzionamento di questi neuroni alcune caratteristiche del disturbo.

Anche in questo caso i dati sono controversi. Una ricerca che mette in discussione tale relazione è quella condotta da un gruppo di ricercatori della New York University (2010) che hanno pubblicato un articolo su Neuron nel 2010 nel quale hanno confutato l’ipotesi di un legame autismo-neuroni specchio dimostrando con un esperimento che le persone autistiche non mostrano differenze rispetto al gruppo di controllo.

Ad oggi è possibile affermare che le cause dell’autismo, nonostante il proliferare di svariate teorie in merito ad esse, sono sconosciute. Mentre la ricerca delle cause procede, è comunque di fondamentale importanza impegnarsi sul versante del trattamento dell’autismo. Anche rispetto agli intereventi le informazioni sono spesso poco chiare per cui non è facile per le famiglie scegliere quale seguire.

Le ricerche condotte in letteratura dimostrano un efficacia significativa dell’intervento comportamentale intensivo e precoce (EIBI) sui bambini con autismo (Green, 1995). Tali interventi sono rivolti allo sviluppo di comportamenti socialmente significativi e la loro efficacia è stata dimostrata da diverse ricerche condotte in letteratura.

In particolare gli studi dimostrano l’efficacia dell’ABA nell’incremento di comportamenti socialmente significativi (fra cui sviluppo del linguaggio, delle abilità accademiche e adattive, degli aspetti cognitivi) e nella riduzione dei comportamenti problema (Anderson, Avery, DiPietro, Edwards, & Christian, 1987; Birnbrauer & Leach, 1993; Harris, Handleman, Gordon, Kristoff, & Fuentes, 1991; Hoyson, Jamieson, & Strain, 1984; Lovaas, 1987; McEachin, Smith,&Lovaas, 1993; Sheinkopf& Siegel, 1998; Smith, Eikeseth, Klevstrand, & Lovaas, 1997) e di come tali miglioramenti si mantengano a lungo termine e vengano generalizzati ad altre situazioni.