Daniela Cipolloni la giornalista che ha effettuato l’intervista che segue l’articolo di cronaca sulla rivista Oggi (qui l'articolo sul blog della rivista), introduce l’intervista con queste parole, chiare e responsabili, che val la pena di rileggere.
“Cura” forse è una parola grossa. L’autismo è un puzzle che la scienza non è ancora riuscita a comporre. Mancano tasselli. Delle cause (genetiche, neurologiche, ambientali) si sa poco. Nella diagnosi si va a tentoni (l’Istituto superiore di sanità ha avviato un progetto per intercettare segni precoci già in culla). E terapie miracolose non esistono. Interventi mirati ed efficaci, però, sì. Paolo Moderato, psicologo e psicoterapeuta dell’Università IULM di Milano e presidente di Iescum (Istituto europeo per lo studio del comportamento umano, www.iescum.org), è il papà di MIPIA (modello italiano d’intervento precoce sull’autismo, www.mipia.it) basato sull’analisi comportamentale applicata (ABA). Partiamo da queste parole per provare a spiegare, a chi vuole capire, al di fuori della voglia di polemiche che caratterizza molti blog sul tema dell’autismo, che cosa significhi “guarire” dall’autismo.
Nell’agosto del 2010 è morto Ivar Lovaas, il padre storico dei primi interventi comportamentali intensivi e precoci per l’autismo. Lovaas è stato il primo a parlare della possibilità di guarire dall’autismo con interventi comportamentali precoci, sollevando già allora, siamo alla fine degli anni ’80, un vespaio di polemiche. Eppure, l’affermazione è meno assurda di quanto possa apparire. Sappiamo bene che dall’autismo non si guarisce, nel senso medico che si da a questo termine come restitutio ad integrum. Sappiamo anche bene che il danno neurologico, su base genetica, che caratterizza l’autismo è ben lungi dall’essere conosciuto nei dettagli e nei rapporti causa effetto. Figuriamo quindi se si può parlare di guarigione. Ma proprio per questo l’affermazione di Lovaas era sì provocatoria ma non assurda e anche il titolo di Oggi, per quanto tipicamente giornalistico, richiama l’attenzione su alcuni fattori innegabili. Il primo è che la diagnosi di autismo è, a tutt’oggi, effettuata su base puramente comportamentale, cioè a livello sintomatologico. Di conseguenza, pur essendo in gran parte ancora ignoto il meccanismo causale, se i sintomi scompaiono si può affermare, pur con tutte le cautele del caso, finché non si arriverà a una diagnosi che accerti il meccanismo causale, che aver migliorato significativamente le aree deficitarie di performance intellettiva e sociale, e aver eliminato i comportamenti problema che portano alla diagnosi di autismo, significa essere usciti dalla diagnosi di autismo. In altre parole, se, grazie all’efficacia – e questo è il secondo punto - dei training individuali e contestuali applicati, non si riscontrano più i sintomi che avevano portato a fare diagnosi di autismo, tale diagnosi può/deve essere revocata, ovviamente da un centro indipendente, che cioè non ha partecipato al trattamento. E’ quanto è accaduto a Mattia e a molti altri bambini come lui. Niente di più niente di meno. Così procede la scienza, la strada è ancora molto lunga, ma si procede per piccoli passi. Siamo tutti nani sulle spalle di giganti, diceva Newton.