La parola “autonomia” proviene dal greco autòs (egli stesso) e nòmos (legge) e, letteralmente significa libertà di vivere con le proprie leggi. Le abilità di autonomia personale rappresentano uno fra gli elementi che incidono maggiormente sulla qualità di vita delle persone con disabilità. Diventare autonomi senza dover dipendere dagli altri significa superare un ostacolo che può cambiare il futuro di una persona.
Sono numerose le autonomie da promuovere
- autonomie di base: alimentazione, igiene, vestirsi e svestirsi, uso del bagno…
- autonomie avanzate: cura della persona, cura della salute, cura dei luoghi di vita..
- autonomie in ambito scolastico: prepararsi lo zaino, riporre le penne nell’astuccio…
- autonomie connesse all’ambiente lavorativo: fare fotocopie, inviare e-mail…
- autonomie connesse alla comunità allargata: attraversare la strada, prendere un autobus…
Come si insegnano le principali autonomie quotidiane? Molte di queste abilità consistono in catene di azioni. Una catena comportamentale è una sequenza di risposte discrete in cui ognuna è associata con una particolare condizione stimolo. Ogni risposta funge contemporaneamente da rinforzo condizionato della risposta precedente e da stimolo discriminativo per la risposta successiva (Reynolds, 1975; Skinner, 1953). La procedura solitamente adottata per insegnare le catene comportamentali è il concatenamento.
Per potere insegnare catene comportamentali occorre innanzitutto scomporle in sub-abilità attraverso l’analisi del compito. Se pensiamo, per esempio al comportamento di lavarsi le mani l’analisi del compito è la seguente: sollevare il miscelatore, prendere il sapone, insaponare, risciacquare, chiudere il miscelatore, risciacquare. A questo punto è importante fare una prima rilevazione delle abilità che la persona sa mettere in atto in modo indipendente, senza aiuto: chiediamo, quindi, alla persona di lavare le mani e registriamo su una scheda presa dati, quali azioni svolge da sola e quali con il nostro aiuto.
Sulla base della prestazione data scegliamo la tipologia di concatenamento da utilizzare.
Le procedure di concatenamento di dimostrata efficacia sono tre:
1. Compito totale: il soggetto tenta ogni volta tutti i passi dall’inizio alla fine della catena e prosegue con i tentativi di realizzare l’intero compito finche? si e? raggiunta una certa padronanza in ogni passo.
2. Concatenamento retrogrado: viene insegnato per primo l’ultimo passo, poi il penultimo e concatenato con l’ultimo, poi il terzultimo e concatenato con gli altri due, proseguendo a ritroso fino all’inizio della catena.
3. Concatenamento anterogrado: viene insegnato per primo il primo passo della catena, poi vengono insegnati il primo e il secondo e concatenati l’uno con l’altro e cosi? via finche? non viene acquisita tutta la catena. (Moderato, Copelli, 2010).
Le procedure di concatenamento vengono solitamente applicate in modo combinato con il prompt; ovvero, in una prima fase aiutiamo la persona a compiere le azioni dopodichè sfumiamo gradualmente l’aiuto, fintanto che la persona arriva a svolgere le azioni in totale autonomia. A seconda del tipo di concatenamento adottato, sfumeremo il prompt in modo diverso: nel caso del concatenamento retrogrado a partire dall’ultimo passo della catena, nel caso dell’anterogrado dal primo passo.
Ad oggi le ricerche evidenziano che tutti i tre diversi tipi di concatenamento sono efficaci. La scelta di quale utilizzare dipende dalla valutazione delle abilità della singola persona.
Ci sono due domande che ci dovrebbero guidare quando progettiamo l’insegnamento delle autonomie:
1. Quali sono le attività che il soggetto è pronto a svolgere da solo?
2. Quale tra queste abilità è più funzionale e utile per un miglioramento della qualità della vita e per un inserimento nel contesto sociale?
Le condizioni in cui avverrà l’apprendimento sono fondamentali affinchè chi apprende scelga di usare quanto ha imparato nella sua esistenza (Caretto, Dibattista, Scalese, 2012).
Autori come Don Horner e Keilitz (1975) hanno studiato l’efficacia di spezzettare il compito in sub-abilità per insegnare ad adolescenti con disabilità a lavarsi i denti.
Un altro studio molto interessante è quello condotto da Richman, Reiss, Bauman e Bailey nel 1984 per insegnare alle donne con ritardo mentale la cura personale in presenza del ciclo mestruale. Gli studiosi hanno prima insegnato alle donne a gestire la propria biancheria intima, successivamente ad utilizzare le salviette detergenti per l’igiene intima e solo alla fine hanno combinato i due insegnamenti: il compito complesso è stato semplificato dividendolo in sub-unità. I risultati ottenuti dimostrano che questa abilità può essere insegnata e che le donne l’hanno mantenuta nel tempo e generalizzata in ambiente naturale.
Un altro studio condotto da Veazey et al. nel 2016 riguarda l’insegnamento dell’abilità di igiene personale a giovani donne con disabilità. L'uso del chaining si è rivelato efficace sia per promuovere tale apprendimento che per la generalizzazione delle abilità acquisite che si sono mantenute nel tempo.
Per approfondire:
Don Horner, R. and Keilitz, I., (1975).Training Mentally Retarded Adolescents to brush their teeth. Journal of Applied Behavior Analysis, 8, 301- 309.
Richman, G.S., Reiss, M.L., Bauman, E.K. and Bailey J.S., (1984). Teaching menstrual care to mentally retarded woman: acquisition, generalization and maintenance. Journal of Applied Behavior Analysis, 17, 441- 451.
Veazey, S.E., Valentino, A.L., Low, A.I., McElroy, A.R. and LeBlanc, L.A., (2016). Teaching Feminine Hygiene Skills to Young females with Autism Spectrum Disorder and Intellectual Disability. Journal of Applied Behavior Analysis, 9(2), 184-189.
https://www.ncbi.nlm.nih.gov/pmc/articles/PMC4893027/