UNA NUOVA CASTA?
(Non ne abbiamo proprio bisogno)

di Paolo Moderato

La storia dell’analisi del comportamento (BA) e dell’analisi comportamentale applicata (ABA) alla disabilità intellettiva ed evolutiva ha le sue radici in Italia negli anni ’70 (Moderato e Presti, 2019; Ricci e Mattei, 2018), cioè quando molti degli attuali agitati e rumorosi players nel campo non erano ancora nati, e, soprattutto, quando il Behavior Analyst Certification Board® non esisteva neanche nella mente di Dio.
La psicologia comportamentale non è mai stata mainstream in Italia, non lo è neanche adesso, figuriamo quarant’anni fa. Con la Riforma Sanitaria del 1978 (L. 833/78) la figura dello psicologo è entrata in modo consistente in ambito sanitario e gli psicologi che sono entrati in ruolo durante gli anni successivi rappresentano inevitabilmente un campione della formazione psicologica accademicamente prevalente in quegli anni: in larga parte psicodinamica, con qualche piccola chiazza qua e là di formazione sistemica e qualcuna, ancor più piccola, di formazione cognitivo comportamentale.
Ancora più critica la formazione dei neuropsichiatri infantili (NPI): ricordiamoci che la teoria eziopatogenetica basata sull’influenza deleteria della madre nello sviluppo affettivo del bambino, nota popolarmente come “madre frigorifero”, è ancora largamente presente nella loro formazione.
Queste criticità nella formazione non hanno impedito tuttavia a piccoli gruppi di psicologi e di neuropsichiatri di sviluppare centri di eccellenza, nicchie comportamentali sparsi a macchia di leopardo lungo la penisola: in Lombardia, Marche, Sicilia, tanto per ricordarne alcune fra le più note.
Nel frattempo il mondo cambiava. Già dall’inizio degli anni ’80 la teoria psicogenetica era screditata dalle ricerche neurobiologiche, l’autismo era riconosciuto come disturbo del neurosviluppo, il modello di trattamento psicodinamico era abbandonato dalla maggior parte dei clinici statunitensi in favore del modello cognitivo-comportamentale (CBT), le prime applicazioni dei principi dell’analisi del comportamento all’autismo mostravano l’efficacia degli interventi comportamentali intensivi e precoci.
La diffusione di questi interventi negli Stati Uniti, alla fine degli anni Ottanta, mette immediatamente in evidenza alcune distorsioni, e la necessità di regolamentare la formazione e la professione degli analisti del comportamento, cioè di coloro che progettano e applicano gli interventi basati sull’ABA. Questa necessità, oltre che sul piano scientifico ed etico, è sentita anche dalle assicurazioni che rimborsano i trattamenti, e che hanno bisogno di criteri certi di professionalità. Va ricordato che negli Stati Uniti la sanità è privata e i titoli di studio non possiedono il valore legale che hanno in Italia, il riconoscimento avviene a livello di rapporti singoli Stati-Università.
Da qui nasce l’esigenza di certificare il livello formativo di coloro che vogliono intraprendere la professione di analisti del comportamento, con questo scopo nasce il Behavior Analyst Certification Board®, prima su base statale (Florida), poi esteso a tutti gli Stati Uniti. La certificazione è il primo livello di garanzia di una professione, un gradino inferiore a quello della licence, che grosso modo corrisponde a quello dei nostri albi professionali, e definisce uno standard minimo per l’esercizio professionale.
Anche in Italia si è posto da tempo il problema della garanzia della preparazione degli operatori nel campo dell’analisi del comportamento. Una premessa: il sistema americano, sia quello accademico, sia quello sanitario, è molto diverso da quello Italiano e anche da quello europeo. Se un’università, pubblica o privata, decide di istituire un corso di laurea nuovo, immaginiamo Laurea in analisi del comportamento, lo può fare con una certa facilità, reclutando liberamente i docenti. Sarà la risposta del mercato, inteso nel senso più ampio del temine, a decretare il successo o il fallimento dell’iniziativa.
In Italia tutto ciò è impossibile. I corsi di laurea sono decisi a livello ministeriale, con legge della Repubblica, il reclutamento dei docenti avviene tramite concorso pubblico.
Come garantire quindi la preparazione degli operatori nel campo dell’analisi del comportamento? IESCUM, approfittando della flessibilità connaturata alla sua ragione sociale, e degli ottimi rapporti personali con l’indimenticato Jerry Shook e con il Board of Directors, si è mosso per primo per adottare anche in Italia il sistema di certificazione americano, ottenendo l’approvazione dei corsi di Master sia di primo sia di secondo livello. Il risultato in termini quantitativi, oltre che qualitativi, è facilmente verificabile: sul sito del BACB ® oggi sono elencati 140 analisti comportamentali certificati, 80 dei quali sono usciti dai corsi IESCUM.
Dopo 10 anni, terminato nel 2018 il periodo di transizione che tecnicamente si chiama di alternative pathway, IESCUM ha continuato a fornire la sua formazione di eccellenza senza che i suoi corsi formalmente prevedessero più la possibilità di presentarsi all’esame per la certificazione. Vi sono diversi motivi tecnici alla base di questa decisione, che non discuteremo in questa sede, ma il motivo principale è che la certificazione del BACB®, un ente privato statunitense, fortemente orientata sul sistema privatistico statunitense, non è e non può essere riconosciuta dai sistemi di welfare dei paesi europei, Italia compresa.
Fermo restando che la professione di analista del comportamento in Italia non è una professione riconosciuta e normata a livello pubblico, rimane il problema di come garantire la qualità della formazione delle diverse figure professionali (psicologi, pedagogisti, educatori, NPI, psicomotricisti e assimilati, logopedisti) che applicano interventi basati sull’ABA.
Una prima distinzione che bisogna aver chiara riguarda le professioni sanitarie: NPI, psicologi, educatori sanitari, logopedisti, TNPEE, sono tutte figure sanitarie, normate da albi professionali, che prevedono in alcuni casi specializzazioni quadriennali post lauream. Per tutte queste figure la preparazione da analista del comportamento è una formazione di perfezionamento che integra ma non sostituisce o modifica il profilo professionale.            
Vi sono poi profili di tipo educativo non sanitario che mancano di albo professionale, ma che hanno conseguito una formazione in analisi del comportamento seguendo un Master. Ricordiamo che nell’ordinamento italiano il Master, universitario o no non fa differenza, non è un titolo di studio, ma un termine che definisce in modo vario una formazione dopo la laurea, di primo livello o magistrale. Il Master fa curriculum, ma vale niente come “pezzo di carta”, vale solo in base alla qualità della preparazione professionale fornita. Chi ha scelto un master checchessia per avere un attestato di saper fare qualcosa (senza averla imparata bene) ha sbagliato tutto.
Infine, scorrendo l’elenco di coloro che hanno ottenuto la certificazione BCBA® o, in pochissimi, BCaBA® si trovano persone con i curricula e i titoli più disparati: laurea in lingue, in statistica, filosofia, geografia, in veterinaria, qualcuno senza alcuna laurea italiana, e/o persone che hanno ottenuto un diploma di master, per lo più a distanza, da qualche ateneo statunitense, più o meno qualificato. Grazie a quel diploma hanno avuto accesso all’esame di certificazione del Board: ma quello stesso titolo non è riconosciuto in Italia, cioè queste persone non possono lavorare all’interno del SSN e nei servizi sanitari accreditati/convenzionati. Naturalmente possono farlo nel mercato privato.
Come garantire allora la preparazione di chi opera in Italia come analista del comportamento, a diversi livelli e con diversi percorsi formativi alle spalle? Come tutelare il pubblico che a questi professionisti si rivolge e come, al tempo stesso, dialogare efficacemente con lo Stato e le istituzioni, muovendosi entro i confini di quanto previsto dalle leggi italiane?
Per rispondere a queste esigenze, nel novembre del 2014 un gruppo di volenterosi, fra cui molti di coloro che hanno fatto la storia dell’analisi del comportamento in Italia, fonda SIACSA, Società Italiana degli Analisti del Comportamento in campo Sperimentale e Applicato (www.siacsa.org). SIACSA è un’associazione di professionisti senza scopo di lucro, che riunisce gli analisti del comportamento impegnati nella ricerca, nella didattica e in diverse aree professionali di applicazione. L’obiettivo è mantenere alto il livello formativo professionale, offrendo un riferimento per tutti gli analisti del comportamento italiani e per i loro clienti, favorendo l’identificazione di chi opera come analista del comportamento, valorizzandone le competenze, informando il pubblico interessato e agevolando la scelta degli utenti che si rivolgono a un analista del comportamento socio di SIACSA: sul sito di SIACSA è pubblicato un elenco costantemente aggiornato degli associati, con il diverso ruolo professionale assunto. Gran parte degli analisti certificati dal Board sono soci SIACSA
Come ogni associazione, SIACSA vigila sulla condotta professionale dei propri iscritti. Per tutelare i consumatori, ai sensi dell’art. 27-ter del codice del consumo, SIACSA mantiene uno sportello informativo cui possono rivolgersi tutti i cittadini che abbiano a che fare con un professionista socio di SIACSA.
SIACSA ha un dialogo aperto con le principali associazioni che rappresentano le persone che presentano disabilità evolutive e intellettive.
SIACSA non è un organismo di certificazione delle competenze professionali, come lo statunitense Behavior Analyst Certification Board, ®  perché in Italia lo stato accredita i profili professionali attraverso i titoli di studio riconosciuti.
Questa associazione è la risposta italiana, prevista e riconosciuta dalle nostre leggi, per dare rappresentanza e forza ai professionisti specializzati in ABA e per offrire qualità e tutele ai cittadini che si rapportano con questa professione. Non c’è nulla di nuovo: decine di altre professioni, in Italia, sono rappresentate in questo modo. Un’altra associazione che opera nel campo, e con cui SIACSA ha in corso un processo di federazione, è ASSOTABA, che ha caratteristiche molto simili a SIACSA.
La nascita di SIACSA ha messo inspiegabilmente in agitazione alcuni analisti comportamentali certificati dal board americano, che hanno cominciato a scrivere privatamente e anche pubblicamente cose poco gradevoli, e soprattutto non vere, nei confronti di SIACSA.
Questa reazione ricorda da vicino l’opposizione che i tassisti hanno fatto a UBER. L’impressione, cioè, è che alcune persone abbiano a cuore più il proprio interesse personale che non l’interesse generale delle persone che hanno bisogno di interventi professionali di qualità. Ripeto inspiegabilmente, perché la richiesta di interventi basati sull’ABA è talmente più alta della possibilità di fornirli, stante i numeri dei professionisti certificati (en passant in Norvegia, patria di Lovaas e paese europeo con il più alto numero di analisti del comportamento, quelli  certificati dal board sono solo 4), che anche un cattivo analista del comportamento potrebbe lavorare senza problemi (per lui) tutta la vita.
Nella categoria cattivi analisti del comportamento, per essere chiaro, metto coloro che confondono l’analisi del comportamento con la ricetta fotocopiata uguale per tutti.  Ce ne sono: spero solo una minoranza, ma ci sono. Purtroppo una capra rimane una capra: anche se le metti il rossetto (la certificazione) non diventa Marilyn Monroe.
Insomma, non vorrei che uno strumento che negli Stati Uniti nasce a tutela delle persone con bisogni educativi speciali, nel nostro paese diventasse un’altra piccola casta, solo volta a difendere gli interessi corporativi di un piccolo nucleo di persone.


Bibliografia

Moderato, P. & Presti, G (2019). La febbre dell’ABA. Giornale Italiano dei Disturbi del Neurosviluppo. 1, 2019.
Ricci, C, & Mattei, E. (2018). Storia dell’ABA in Italia: tra miti e false credenze. Autismo e Disturbi dello sviluppo,  1, 3, 2018.